Articoli

La posizione masochista (parte 3)

Soffermiamoci ora su quello che Genovino Ferri  distingue come masochismo primario di primo e secondo tipo.

Il primario di primo tipo in quanto è intrauterino, ossia riferito a quella fase in cui c’è una dominanza dell’ Rcomplex (fase uterina fino ai primi tre mesi o anche prima).

Per il BreathBalance® e per a PEV® tanto il masochismo che il sadismo sono caratterizzati da compressione. Si tratta di un campo estremamente compresso che, nel sadismo, riesce, in qualche misura, ad essere veicolato all’esterno.

A tal proposito si deve specificare che per parlare di sadismo associato al masochismo, occorre che il sadismo si sia prodotto nella fase muscolare perché il soggetto deve essere dotato della capacità di indirizzare la propria aggressività verso l’esterno/altro da Sé. Qui invece stiamo parlando di un masochismo associato ad un sadismo secondario. Non si costituiscono come tratti caratteriologici distinti: Noi sosteniamo che il masochismo è una posizione, mentre per Reich è un vero e proprio carattere, che esprime una specifica funzione adattative del sé. In PEV® (Psicoanalisi Energetico Vibrazionale®)  diciamo che è una risposta del Sé alle condizione che l’altro da sé gli propone, ossia è un meccanismo narcisistico, che serve all’individuo per sopravvivere. Infatti il primo abbozzo di masochismo lo abbiamo già nelle prime fasi della vita: da quì percorre tutta la freccia evolutiva del tempo in senso verticale e attraversa tutte le fasi di sviluppo.

Sia il masochismo sia il sadismo richiedono la presenza di una variabile densità-spessore del Sé medio-alta: se in fase intrauterina c’è un allarme con panico di separazione la risposta masochista del Sé può avvenire solo se c’è anche una buona densità energetica fra il feto e l’utero/mamma, altrimenti non ce la fa e rischierebbe di entrare in una dimensione psicotica o borderline.

Il problema del masochista è il problema di un sé fermato, bloccato, congelato nell’espansione affermativa della sua pulsazione, dalla paura-allarme, dalla frustrazione, dalla castrazione, da separazioni disfunzionali, violenze subite con carico o sovraccarico di tensione sulla periferia del biosistema, nel senso che il masochista è vitale al centro mentre perifericamente ha una corazza tensiogena che lo ostacola nel suo aprirsi alla vita:  pensiamo a una energia che rimbalza come la pallina da squash contro un muro, non riuscendo a sfondarlo.

  • A questo proposito è importante capire da dove arrivi la minaccia di cui sopra: nel “masochismo primario di primo tipo” la minaccia proviene dall’oggetto relazionale utero/mamma, il che è esemplificato da un embrione o feto che esperisce una paura-allarme intrauterina: pensiamo a minacce abortive o allo stress in senso lato come per esempio un lutto subito dalla madre utero per la perdita di una persona cara. Questo piccolo Sé, con densità carica medio-alta, svilupperà il masochismo-narcisismo primario, ovvero si adopererà a passare energia alla madre utero, riducendo il proprio movimento, trattenendolo e riducendo la sua pulsazione vitale. Si preoccuperà di reggerla, di supportarla perché la sopravvivenza dell’altro da Sé coincide con la propria: l’utero muore comporta che anche il feto muoia.
  • Il masochismo primario di secondo tipo invece è a dominanza limbica, che inizia a diventare dominante con il riflesso della suzione, ossia intorno al terzo mese di vita e fino alla dentizione, quindi per tutta la fase orale. In questo caso è centrale la relazione madre-piccolo, dove il neonato ha sempre una buona densità mentre la madre può essere a valenza melanconica, fobica o d’angoscia: ovvero è una madre depressa, che dà al piccolo (latte) ma che trattiene e chiede spesso al piccolo con un “come” circolare entropico (ad es. sorridi a mamma, non piangere, ecc.), seduttivo, comunque mascherante il proprio bisogno, e con risultati sempre coartanti e frustranti sull’aggressività espansiva affermativa esplorativa del figlio/a. Naturalmente questa madre non può accettare che il bambino si separi da lei; si tratta di madri protettive, sempre con un’attenzione elevata (ad esempio: non correre altrimenti ti farai male!), troppo protettive e buone, che ostacolano il passaggio del piccolo dalla fase orale a quella muscolare e l’incontro col secondo campo. Naturalmente questa madre ha problemi con la separazione, probabilmente lei non si è mai separata e ha problemi a far separare il piccolo da Sé, in modo tale da riempire i propri vuoti. Una madre che resiste, per suoi problemi, al parto e/o svezzamento limita il piccolo nel suo poter sperimentare una separazione sana dal primo campo (area di dominio della madre) al secondo campo (area più ampia, familiare). Il piccolo riceve come imprinting questa richiesta e sviluppa così una espressione di masochismo primario di secondo tipo, sovraccaricandosi di una pseudo donatività, che lo spinge a fare di tutto per soddisfare la madre, ma soprattutto, non si sentirà mai di aver dato abbastanza e quindi sentire che può finalmente separarsi. Il piccolo è pseudo donativo perché non dà in quanto è “buono” ma semplicemente perché donando alla madre può riempirla e completarla e di conseguenza sentire che la madre lo ha lasciato andare, che è libero. Questo meccanismo risponde sempre ad un principio di economia narcisistica, riempire il bisogno materno per essere accompagnato e poi lasciato andare nella crescita. Il paradosso è che la fissazione di questo meccanismo energetico realizza facilmente una coazione a ripetere, cioè per quanto il piccolo possa dare, ciò non basterà mai.

Notiamo che i primi due tipi di masochismo primario sono spesso copresenti, magari attualizzandosi in contesti diversi (situazioni di allarme panico morte per il primo tipo, mentre in situazione di angoscia da separazione nel secondo tipo).

Il masochismo secondario è di secondo campo (ovvero l’area di azione della madre) insieme al sadismo: in questo caso vanno insieme; mentre nelle prime forme di masochismo non ci può essere sadismo in quanto non c’è muscolarità.

Quindi il sadismo si accoppia al masochismo solo quando si entra in fase muscolare. Anche in questo caso c’è una compressione, una condensazione del campo. Il sadismo si realizza sempre su un altro da sé specificamente down o con grado masochistico superiore: il sadico è a sua volta un masochista. I tratti del masochismo secondario e del sadismo si rivelano in tratti caratteriologici coatti prefallici o fallici. Più ci spostiamo verso la dimensione fallica e più è facile che si sviluppi l’espressività sadica, mentre il coatto, siccome trattiene, è più portato a non veicolare la sua energia verso il mondo e quindi è più  facile che si sviluppi la dimensione masochista, con un allarme-paura che deriva dalla castrazione. Il caso che abbiamo visto in Reich fa riferimento proprio a questa dimensione coatta prefallica, poiché è evidente che ci sia un secondo campo castrante delle pulsioni legate alla genitalità, esse si caricano di una aggressività repressa distruttiva. Man mano che ci spostiamo da una fissazione coatta ad una fallica assistiamo ad una espressività maggiore del sadismo rispetto al masochismo. Questo perché il campo del fallico è maggiormente propositivo e affermativo, prende il mondo di petto. Nel fallico, in una qualche misura, è anche presente un confronto-scontro con il fallo del padre, mentre nel coatto non c’è. Il fallico di cui parliamo, dice Ferri, è il fallico senza padre o il fallico senza alleanza con il padre: senza padre significa che ci troviamo di fronte ad un fallico che nasce sul progetto narcisistico della madre, quindi non si è mai confrontato con il padre. Qui ci può essere anche una sorta di volontà di parricidio che può generare senso di colpa. Il fenomeno masochismo narcisismo nel secondo campo si chiarifica anche nel fallico in alleanza, quindi con un padre con un buon livello di accettazione del figlio, sviluppando il cosiddetto “complesso di atlante”, che potrebbe configurarsi come masochismo secondario di secondo tipo.

In sostanza:

  1. nel masochismo secondario di primo tipo c’è la compressione coartazione del campo, perché ciò è accaduto o in assenza di padre e quindi è la madre che fallicizza il piccolo, in fase coatta-prefallica fallica, oppure è una figura castrante (masochismo secondario di secondo tipo),
  2. mentre il fenomeno masochismo narcisismo nel secondo campo si classifica anche nel fallico in alleanza sviluppando il masochismo secondario di secondo tipo. Queste sono persone leader che si caricano sulle spalle e sul collo le responsabilità proprie e degli altri oppure di intere organizzazioni (aziende, associazioni, ecc.). Questa è una persona che ha bisogno di mettersi al centro, ha bisogno di essere riconosciuto e di affermarsi.
  3. Reich propone che il piacere nel masochista non è altro che il piacere derivato dalla liberazione patologica della compressione del biosistema e quindi provocato da un’espansione violenta.

Conclusione

Il masochista percepisce come piacere ciò che dall’individuo normale viene percepito come dispiacere.

Freud aveva scoperto che sadismo e masochismo formavano una coppia antitetica. Poi, aveva scoperto che esisteva il sadismo orale, anale, fallico che si esprimeva come mordere, calpestare, perforare. Il sadismo, quindi, nasceva come reazione distruttiva contro la frustrazione della pulsione.

In questa concezione il masochismo è una formazione secondaria che consiste nel volgere contro se stesso la propria distruttività sadica. Ma Freud abbandona poi tutto ciò ribaltando la sua prima concettualizzazione teorica e affermando l’esistenza di una tendenza biologica primaria all’autodistruzione, ossia la pulsione di morte (thanatos) antagonista dell’eros.

Reich, invece, con lo studio e le ricerche sul carattere masochista, trova una risposta diversa, che confuta la teoria della pulsione di morte. Non esiste una pulsione primaria autodistruttiva perché anche il masochista segue, anche se in modo apparentemente distruttivo, e quindi incomprensibile, il principio del piacere: infatti il masochista non prova attraverso le percosse un dispiacere ma prova il piacere della distensione che, per paura, può provare solo in quelle forme.

I tratti salienti del masochista sono:

  • Una sensazione soggettiva, cronica di sofferenza;
  • Tendenza a lamentarsi;
  • Tendenza cronica all’autolesionismo;
  • Tendenza cronica all’auto-umiliazione;
  • Intensa mania di tormentare gli altri, provocazioni infantili continue per farli esplodere, cosa che produce poi la distensione;
  • Comportamenti maldestri, senza tatto ecc.;
  • Percezione non piacevole dell’aumento dell’eccitazione sessuale, come base caratteriale specifica del masochista;
  • Atteggiamento spastico molto accentuato, sia psichico che genitale. Inibisce immediatamente e continuamente ogni sensazione seppure accennata di piacere, trasformandola in dispiacere;
  • La sensazione di sciogliersi è vissuta dal masochista come l’arrivo di una catastrofe punitiva; l’essere picchiato, quindi, diventa lo strumento della distensione agognata, che è vietata raggiungere con altri mezzi; egli, in tal modo, si discolpa dell’accaduto, cioè la distensione sessuale, di cui è invece colpevole la persona punitrice.

Nel BreathBalance® consideriamo oggi la struttura adottata da un masochista come una energia “trattenuta”, non capace di muoversi liberamente verso l’esterno, verso il mondo, in maniera agile, leggera. L’aggregato energetico è diviso fra istanze centrifughe e istanze centripete, una voglia di lasciarsi andare e un bisogno di trattenere; ciò comporta una scissione fra naturalezza e rigidità, con la scelta della persona di intraprendere “tensioni parassite” che lo irrigidiscono in una, spesso, assurda, resistenza alla vita.

Il lavoro sarà quindi, in PEV® quello di aiutare la persona ad allentare le proprie tensioni centripete, consce o inconsce che siano, a iniziare un percorso di costruzione di fiducia verso la vita e nel proprio andarvi incontro, nonostante le delusioni che immancabilmente incontrerà. Aiutare il seme vitale che un poco alla volta germoglierà e potrà diventare una pianta rigogliosa. Può essere il lavoro di una vita, difficile certamente, percepito impossibile talvolta, ma necessario, essenziale e auspicabile per chiunque.

[1] Mentre per Reich essa resta una pulsione secondaria, quindi qualcosa di derivato e non originario.

[2] Come possiamo notare Reich era anche un analista sui generis. Solo dopo anni, circa 6, al termine di questa analisi Reich pervenne alla soluzione del problema.

[3] Tutto ciò spiega l’ipotesi dell’erotismo dermico sostenuto da alcuni psicoanalisti.

Articolo tratto dall’Intervento di Alfonso Guizzardi all’XI Convegno internazionale di Psicoterapie corporee a Città del Messico

La posizione masochista (parte 2)

Il caso che apre a Reich la possibilità di leggere diversamente il fenomeno del masochismo è del 1928 quando prese in analisi un uomo affetto da una sindrome masochistica molto grave. Durante questo percorso un giorno, esasperato dalle continue richieste del suo paziente di essere battuto, Reich prende un righello e assesta tre colpi sulle natiche del paziente che urlò: La constatazione che sulla faccia del paziente non era impresso piacere bensì dolore gli permise di prendere coscienza che il meccanismo del masochismo è di altra natura e che il dolore non è la meta pulsionale del masochista come si era fin allora pensato.

La specificità dell’approccio reichiano allo studio masochismo consiste innanzitutto nel fatto che egli non affronta il tema a partire dall’analisi di questa o di quella forma di perversione sessuale ma pone l’attenzione sull’analisi della struttura caratteriale masochista.

Per Reich i tratti principali del carattere masochista, presenti sporadicamente in tutti  itratti caratteriali nevrotici, sono costituiti da una sensazione cronica di sofferenza che si esprime in una tendenza a lamentarsi, da una tendenza cronica all’autolesione, all’automutilazione e al masochismo morale  e cioè all’umiliazione e da una intensa mania a tormentare gli altri che lo fa soffrire non meno dell’ individuo a cui è rivolta questa tendenza. E’ comune poi a tutti i caratteri masochisti il comportamento maldestro, senza tatto nel modo di presentarsi e relazionarsi con gli altri, che richiama al tratto caratteriale coatto. Quindi Reich in questo caso sta parlando di una forma di masochismo secondario.

La storia di un paziente di Reich.

Fin da 16 anni era totalmente incapace di lavorare e privo di qualsiasi interesse sociale, presentava gravi forme di perversioni masochistiche, non aveva mai avuto rapporti con le donne ma si masturbava ogni notte per molte ore attraverso una modalità di tipo pregenitale, si rotolava sulla pancia fantasticando di essere flagellato con la frusta da un uomo o da una donna e schiacciava il proprio pene stringendolo fra le cosce. Quando si annunciava l’eiaculazione si tratteneva e aspettava che l’eccitazione passasse, poi ricominciava da capo fino quando esausto lasciava che avvenisse l’eiaculazione. Dopo era completamento disfatto, si sentiva spappolato, aveva particolari difficoltà ad alzarsi la mattina malgrado l’enorme senso di colpa che lo spingeva ad interrompere l’ozio. Aveva avuto le sue prime fantasie di essere battuto all’età 7 anni. Non solo prima di addormentarsi fantasticava che lo si costringesse a piegarsi sulle ginocchia per essere picchiato ma andava spesso in bagno e cercava di flagellarsi. Reich è riuscito ad individuare la cosiddetta scena traumatica: all’età di circa 3 anni il paziente giocando in giardino si era sporcato e il padre lo aveva portato in casa e lo aveva messo sul letto; il bambino si era girato immediatamente sulla pancia e aveva atteso, con molta curiosità e lo sguardo di paura, le botte imminenti. Il padre lo aveva picchiato violentemente ma il paziente aveva avvertito un certo sollievo, si era trattato della sua prima esperienza masochista. Possiamo notare come ci troviamo in un contesto storico sociale dove la dimensione coatta è molto forte.

Dall’analisi risultò che le  botte non gli avevano procurato piacere, esse erano state un sollievo perché il paziente temeva qualcosa di peggio, si era girato sulla pancia per proteggere il genitale dal padre: meglio essere picchiati sul sedere che subire un danneggiamento al pene. Il paziente iniziava ogni seduta con un continuo atteggiamento di lamentazione accompagnato da provocazioni infantili di tipo masochista, presentava ad esempio una decisa ostinazione rifiutandosi di completare le proprie dichiarazioni o a formularle meglio. Reich reputò che non era il caso di vietargli tale ostinazione, pena il successo del lavoro, cominciò invece a proporre una serie di atteggiamenti terapeutici poco consueti. Anche in  questo caso è evidente la genialità terapeutica di Reich. Metteva davanti al paziente uno specchio in cui si rifletteva il suo modo di comportarsi, nel senso che imitava il suo atteggiamento, parlava con lui utilizzando il suo linguaggio infantile, si sdraiava insieme a lui per terra pestando i piedi e dimenandosi insieme a lui. Reich era arrivato la conclusione che questa provocazione rappresentava solo superficialmente il tentativo di esasperarlo e di farlo diventare severo, ma egli non mirava alla punizione ma piuttosto aveva bisogno di mettere l’analista dalla parte del torto.

In questo modo egli poteva giustificare l’odio verso l’oggetto d’amore ed elaborare il conseguente enorme senso di colpa: “Ecco tu sei cattivo, non mi vuoi bene, mi tratti maniera crudele ho ragione ad odiarti“ (che tipo di genitore è questo? E’ un secondo campo estremamente rigido e castrante che coarta, infatti nella posizione masochista c’è questa coartazione del campo). Ma tutto ciò non esauriva il significato delle sue provocazioni, esse infatti facevano centro intorno al  problema dell’odio e al bisogno di protezione, il significato più vero e profondo era piuttosto costituito dal suo disperato e smodato bisogno di essere amato.

E’ evidente che egli odia il padre perché lo punisce ma lo odia anche perché non è amato, quindi c’è un grande bisogno di essere amati. Le sue lamentele avevano la seguente stratificazione: “guarda come sono ridotto, amami! Tu non mi ami abbastanza sei cattivo con me! Tu devi amarmi, otterrò il tuo amore con la forza, altrimenti ti farò arrabbiare!” Ogni masochista ha infatti sperimentato nell’infanzia una profonda delusione d’amore e perciò una profonda paura di essere lasciato solo e conseguentemente il bisogno di essere amato, coccolato e riscaldato.

Ma a parere di Reich, e questa è la sua intuizione più significativa, l’ esasperato bisogno d’ amore del masochista nascondeva qualcosa di ancora più significativo e profondo: allo stesso modo infatti  in cui le lamentele sono un desiderio dissimulato di amore  e la provocazione un tentativo violento di ottenerlo, la formazione caratteriale complessiva del masochista rispondeva alla necessità di liberarsi dalla sua angoscia e dal suo dispiacere, ma tale sforzo risultava continuamente frustrato. Il masochista non riesce mai a liberarsi della sua tensione interiore che continuamente minaccia di trasformarsi in angoscia.

Il senso di sofferenza che il masochista manifesta corrisponde al reale dato di fatto della incessante eccitazione interiore e della disposizione all’angoscia. Non può esprimere e canalizzare questa sua eccitazione. Ora a parere di Reich l’impossibilità del masochista di liberarsi della sua eccitazione interiore si radica su un processo perturbatore dell’esperienza del piacere. Il carattere masochista presenta infatti una spasticità, una rigidità non solo del suo apparato psichico ma soprattutto di quello genitale e inibisce immediatamente ogni sensazione appena pronunciata di piacere trasformandola in dispiacere.

Il paziente ad esempio accettava le sensazioni piacevoli della masturbazione finché erano superficiali e leggere, ma non appena diventavano più intense si spaventava e invece di lasciarsi andare irrigidiva il suo pavimento pelvico. In questo modo la tensione interna veniva continuamente alimentata e intensificata. Il paziente descrisse con molta precisione questa esperienza, non appena avvertiva la sensazione di sciogliersi (parole del paziente) avvertiva angoscia e temeva che il pene potesse sciogliersi, che la sua pelle potesse dissolversi, scoppiare se continuava a masturbarsi. Questa era la prova, a parere di Reich, che nel masochismo non è il dispiacere a trasformarsi in piacere ma esattamente il contrario. L’angoscia genitale produceva inevitabilmente un aumento della tensione interna e questa a sua volta nuova angoscia, fino a quando la tensione non diveniva insostenibile e in questo contesto diventava allora comprensibile il suo bisogno di essere picchiato che consentiva di portare l’energia dal centro in cui era bloccato, a rompere violentemente quella rigidità muscolare che gli impediva l’ esperienza del piacere e quindi la liberazione del piacere stesso. Reich dice:

I colpi avevano dunque la funzione di procurare la distensione, il raggiungimento della quale era vietato al paziente con i propri mezzi. Se il suo pene esplodeva quando fuoriusciva il suo seme in seguito ai colpi ricevuti la colpa non era sua, era stato il suo tormentatore a causare il tutto. La fantasia di essere picchiato aveva dunque il seguente significato: “picchiami  perché mi distenda senza sentirmi colpevole

Il fatto di essere battuti porta energia alla superficie, arrossa, fa fluire sangue ed energia e quindi attenua la pressione interiore. In questo senso, come dice Reich, i colpi possono essere avvertiti come piacevoli.

Sempre a parer di Reich:

il bisogno masochista di essere pizzicati, sfregati con spazzole, flagellati ecc. rispondeva alla necessità di sentire il calore della pelle. Il dolore veniva quindi sopportato perché la parte colpita bruciava e ciò provocava un effetto distensivo.

Tali affermazioni erano in sintonia con le osservazioni di Reich sulla fisiologia del piacere: già nel 1924, nei suoi studi sull’orgasmo, egli aveva intuito l’antitesi funzionale fra angoscia e sessualità ed era arrivato alla conclusione che la contrazione dei vasi periferici aumenta l’angoscia (pallore in caso di spavento, senso di freddo negli stati di angoscia, brividi di fronte alla paura) mentre il senso di calore della pelle dovuto alla maggiore affluenza di sangue è la caratteristica specifica del piacere.

 

Poi, nel 1935, Reich addirittura inizia ad utilizzare degli strumenti per misurare il potenziale bioelettrico della pelle basandosi sulle ipotesi bioelettriche di Cromes, Zombec e Hartmann. Dagli esperimenti emerse che il piacere era la sola emozione capace di accrescere la carica bioelettrica della pelle, mentre l’angoscia determinava una caduta di tale carica: l’antitesi funzionale piacere-angoscia trovava così un preciso contenuto energetico e la sua conferma sperimentale.

Nel caso proposto da Reich c’è una fissazione tra la fase muscolare e la prima fase genito-oculare, con una dimensione di castrazione molto forte: il soggetto ha paura che il suo pene scoppi ed ha paura di poter vivere le sue sensazioni genitali dovuta a qualche fantasia inconscia di competizione con il padre. La cosa evidente è la struttura ipertonica, rigida, poco flessibile, muscolare del corpo del masochista. Il dolore diviene così l’espediente per poter concedersi il piacere, che, a sua volta, consiste nell’abbassamento della compressione energetica.

Il senso di colpa, associato all’insorgere del piacere, è legato al fatto che se questo piacere viene lasciato libero di fluire, verrà, in certo senso, realizzata la fantasia di aggressività (e di uccisione) verso la figura che gli ha impedito di esprimere il proprio piacere, ossia il padre.

Tra l’altro il masochista è una persona che non ha appreso l’espressione dell’aggressività, quindi potrebbe  viverla, là dove riuscisse ad esprimerla, come qualcosa di distruttivo, dove anche il solo ”dire” ha una valenza devastante. In sostanza si tratta di concezione distorta dell’ aggressività: “se mi lascio andare viene fuori tutto quello che deve venire fuori, piacere e rabbia distruttiva e quindi mi reprimo”.

È chiaro che il masochista con le continue lamentazioni sta aggredendo l’oggetto d’amore in maniera che potremmo definire orale, o passivo-aggressiva, e sta testando quanto l’oggetto d’amore possa sopportare: in realtà sta mettendo alla prova l’amore dell’altro per lui. Però per Reich questo non è il cuore del problema, che invece è il disturbo dell’esperienza del piacere.

La tematica del Masochismo e del piacere viene trattata nei seguenti moduli del BreathBalance:

nei 5 BIG

e in Sesso e Piacere

Articolo tratto dall’intervento di Alfonso Guizzardi all’XI congresso internazionale della psicoterapie corporee –  Città del Messico 2017

BreathBalance®: come funziona

Il BreathBalance® può essere considerato una metodologia in cui non si apprende l’ennesima tecnica di respirazione, ma è finalmente una strada per disimparare ciò che ci ha impedito finora di respirare pienamente.

Il respiro del BreathBalance® è chiamato “cosciente e coerente” perché permette di sciogliere tutte quelle tensioni muscolari che comprimono la forza vitale senza darle libero accesso.

Le tensioni nascoste dietro le corazze muscolari che, chi più chi meno ci portiamo addosso nella vita, finiscono per corrodere il nostro corpo fino al punto da farci perdere il contatto con le nostre capacità innate dell’energia in espansione.

Attraverso il BreathBalance® diventiamo spontaneamente in grado di rinascere in un nuovo corpo che diventa spontaneamente libero di tutto ciò che lo aveva finora imprigionato.

Come?

Attraverso il respiro cosciente e coerente e grazie a microesercizi psicofisici adattati su misura per chi desidera affidarsi al BreathBalance®  come percorso di ri-educazione  vibratoria.

 

Per saperne di più, è in uscita il volume BREATHBALANCE® (il Respiro cosciente e coerente), Ed. Sì di Alfonso Guizzardi e Nicoletta Ferroni

RESPIRO E TRATTO CARATTERIALE

 Se ci poniamo lo scopo di trovare una relazione tra la modalità respiratoria e i tratti caratteriali potremmo quindi notare che esistono varie macrotipologie di respirazione.

  1. La respirazione muscolare o toracica, caratterizzata da una rigidità della parte superiore del dorso e del collo, come se la persona si stesse continuamente trattenendo, con una tendenza verso la iper-espansione del torace: la persona non vuole lasciar uscire nulla di pregiudizievole, come ad esempio potrebbe essere un’emozione: costoro hanno un ritmo rigido e costante del respiro che riesce, proprio per questo, ad essere dissociato dai sentimenti sottostanti. Reich metteva in evidenza che il militarismo ricorre costantemente a questo tipo di corazza muscolare inducendola nei soldati: pancia in dentro, spalle indietro e petto in fuori; infatti è presente nel tratto rigido e coatto/fallico. Ciò comporta anche fisicamente una serie di problematiche legate alla salute: una tendenza all’aumento della pressione del sangue, a palpitazioni e ansia, e, in alcuni casi gravi, con il perdurare di tale situazione, anche all’ingrossamento del cuore.
  2. La respirazione intestinale, che si ha quando la parete intestinale funziona in modo anormale: invece di rilassarsi ed espandersi durante l’inspirazione, essa s’indurisce formando una massa compatta. L’espirazione può sciogliere questa contrazione solo in parte; perciò questa massa rimane. Tale caratteristica è tipica dell’individuo masochista che tenta di eliminare sensazioni intestinali dolorose comprimendo l’addome e, invece, paradossalmente riproduce il dolore ristabilendo la forte tensione muscolare. I pazienti con questa modalità respiratoria e tratto caratteriale spesso lamentano un’insopportabile “pressione” allo stomaco o la presenza di una sorta di “cintura” che li stringe mentre in altri invece c’è una particolare sensibilità in alcuni punti della pancia che diventano dolenti o sensibili al tatto; ma tutti hanno una inspiegabile paura di ricevere un colpo all’addome. Scrive Lowen, allievo di Reich e fondatore della bioenergetica, che può essere definita anche come respirazione paradossale, perché i movimenti del torace e dell’addome  sono contrapposti anziché  essere armonici e coerenti: il torace sale mentre l’addome scende e viceversa. Si potrebbe anche evidenziare come il modello energetico viene trasferito dal sistema intestinale al sistema respiratorio in quanto la si nota in individui che esposti a situazioni talmente nauseanti da far loro desiderare di vomitare (il veleno della paranoia) o in individui esposti a situazioni di umiliazione anale e di disgusto per il contenuto intestinale (il pantano del masochismo).
  3. Respirazione come suzione invece si ha in persone con una struttura caratteriale opposta rispetto al rigido/coatto/fallico che, abbiamo visto più sopra, adotta una respirazione toracica o muscolare. Il torace e l’addome in questo tipo di respirazione sono sgonfi anziché tronfi: pare non esservi tensione muscolare nella parte anteriore del corpo; lo sgonfiamento della struttura corporea orale e delle caratteristiche del carattere che, Lowen ha così ben descritto, si rileva in questa modalità respiratoria: l’individuo non sembra aver un timore nei confronti dell’aria che entra nei suoi polmoni, piuttosto manifesta un atteggiamento appreso che deriva dai movimenti della suzione: è deluso e insoddisfatto non solo per la mancanza o qualità di cibo ma anche di aria. L’impressione di non riuscire, nemmeno con gli sforzi più intensi, a raggiungere un soddisfacimento nella suzione (il flusso e la qualità di latte materno era indipendente dalla volontà del bambino), viene trasferita alla respirazione e la persona spesso manifesta fame d’aria, teme di ingoiarla e di succhiarla.
  4. La respirazione uterina indica che la persona fa movimenti respiratori impercettibili come se temesse di sentire i suoi stessi suoni e movimenti. Questa caratteristica si adatta alla struttura caratteriale dello schizoide (e di tratti a bassa densità energetica come il borderline) basata sul convincimento di non aver diritto di esistere. In altri termini c’è un’inibizione dei movimenti respiratori verso il mondo e questi movimenti sono sostituiti da un’inibizione globale che richiama l’immobilità del feto. Si ritiene che frenare i movimenti respiratori in modo così continuo indichi un timore di far entrare dentro di sé “l’altro” (il mondo) attraverso la respirazione e un desiderio di ritornare al tranquillo mondo dell’utero. Reich ha descritto questa modalità respiratoria riferendosi a un paziente schizofrenico da lui trattato, dal respiro leggero ed impercettibile come di qualcuno riluttante o incapace a nascere, mentre la respirazione profonda può far nascere in questi soggetti (schizoidi) la sensazione di morire per annegamento.

Nicoletta Ferroni e Alfonso Guizzardi, tratto dall’articolo contenuto in Il Grande Libro di Medicina e Psicologia Vibrazionale, a cura di Alfonso Guizzari, ed. Sì.

COMUNICARE MEDITANDO

 Anche se non parliamo, comunichiamo sempre!

L’ignoranza è un dono divino, la conoscenza il potere sociale.

Il libro “Pragmatica della comunicazione umana” (Watzlawick) ha posto le basi di un nuovo paradigma della comunicazione evidenziando i seguenti assiomi, che noi nella Formazione del BreathBalance “respireremo” ed “esploreremo” attraverso uno studio dettagliato della biografia di ogni partecipante, ad ogni livello: fisico, emozionale, mentale, spirituale.

IN PSICOLINGUISTICA si insegna che:

Non si può non comunicare

Quando due persone si trovano in un’unità spazio-temporale fanno parte di un processo di comunicazione

Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed uno di relazione

Quando due persone comunicano tra loro si scambiano un certo contenuto e contemporaneamente inviano dei messaggi che implicitamente qualificano la relazione in corso.

La comunicazione è un processo circolare

Ogni sequenza di comunicazione è causa del fenomeno che segue ed effetto di quello che lo ha preceduto.

La comunicazione è verbale e analogica

Gli esseri umani comunicano non solo con le parole, con il linguaggio verbale (o digitale perché composto da segnali discreti come lettere dell’alfabeto) ma anche con il corpo e con la voce (o linguaggio analogico perché offre una rappresentazione continua di ciò che si intende comunicare).

Il processo comunicativo

Comunicazione verbale, non verbale e paraverbale

Dialogo e Negoziazione

La comunicazione verbale è costituita dal linguaggio.

La comunicazione non verbale riguarda:

la postura;
la prossemica;
le espressioni del viso;
i movimenti delle braccia e delle mani;
le comunicazioni cinesiche.

La comunicazione paraverbale riguarda:

il tono;
il volume;
il tempo;
il timbro.

ESPLORANDO IL RESPIRO, E DANDO PIU’ SPAZIO AL RESPIRO, SAPREMO COME/DOVE/QUANDO/QUANTO COMUNICARE ANCHE SENZA PARLARE. IN MODO DA POTERCI ESPRIMERE, ATTRAVERSO UNA FORMA DI MEDITAZIONE DI ASCOLTO DELL’ALTRO.

ASTROLOGIA EsSOTERICA

Una volta frequentato il corso del nostro BreathBalance® ANIME IN CAMMINO e scoperto il mio intento dell’anima nel verticale e il relativo progetto animico nell’orizzontale, e individuato le componenti di vibrazioni e risonanze nel corso FAMIGLIE D’ANIME, a questa visione puramente energetica subentra un’altra componente: la funzione.

Ovvero: a che cosa servo nella vita?

Nell’incarnazione siamo venuti ad assolvere a una funzione. Serviamo a qualcosa più che a qualcuno, ma attiriamo qualcuno per servire a qualcosa e quel qualcosa non è mai inutile.

Tuttavia spesso ci possiamo sentire inutili perché stiamo assolvendo a una funzione che non è allineata con il nostro intento dell’anima, per cui facciamo, diciamo, abbiamo, senza avere chiarezza su quello che ci sta accadendo.

Può accadere nelle relazioni a 2, ma anche nel collettivo, per questo entriamo facilmente in crisi su quello che viviamo.

Prima di incarnarci la nostra anima ha un intento che “anima” il progetto animico nell’incarnazione.

Il progetto animico si articola poi in intenti orizzontali (ovvero intenti dell’incarnazione) a partire dalla nostra nascita. Gli intenti possono essere: l’intento di nascita, l’intento dell’infanzia, dell’adolescenza, dell’anno, del mese, della settimana, del giorno. Possono essere intenti anche collettivi, non solo personali. L’importante è che tutti gli intenti del progetto animico, sulla scia dell’intento dell’anima, siano il “carburante” che dona gioia di vivere. Possiamo cambiare i nostri intenti del progetto animico, man mano che ci accorgiamo che ci donano sempre più gioia di vivere. Difficilmente sentiamo gioia se scegliamo intenti altrui solo per accontentare qualcuno. La nostra anima per prima ci dirà che non funziona. E come lo fa? Sintonizzandoci sulla scontentezza.

Tuttavia non possiamo cambiare la nostra funzione. Abbiamo una unica funzione che va riscoperta per assolverla e per riconnetterla con gli svariati intenti dell’incarnazione che possiamo scegliere continuamente in allineamento con l’intento dell’anima.

Il gioco sta nel rendere più sacra, ovvero più divina possibile, la nostra funzione attraverso l’onesta intercettazione del nostro intento dell’anima. E una funzione è sacra quando è totalmente allineata all’intento dell’anima. Solo allora diventa sacra e solo quando diventa sacra può chiamarsi funzione dell’anima nell’incarnazione e quando è tale, il progetto animico è completato in totale allineamento con tutti gli intenti a partire dall’intento dell’anima. Questa è la felicità pura in cui tutto avviene al momento giusto, al posto giusto, con le persone giuste.

Se siamo sintonizzati con questo gioco di intenti, cogliamo l’attimo con più semplicità.

Se siamo sconnessi, è più facile che non cogliamo l’attimo e continuiamo a vivere rincorrendo sogni che non sono nostri.

Lo snodo sta nel sentire quanta gioia sentiamo nel fare ciò che facciamo ogni istante della nostra vitA, SMETTENDOLA di proiettare sugli altri il senso di precarietà con cui siamo abituati a vivere un vita troppo piena o molto vuota.

“Respireremo” ed “Esploreremo” queste dinamiche e questi risvegli nei corsi di BreathBalance®: ASTROLOGIA Essoterica I-II attraverso il ri-conoscimento energetico della propria carta natale.

Buon respiro cosciente e coerente!

FAMIGLIE D’ANIME

Quello che abbiamo esplorato e “respirato” nel corso del BreathBalance ®, ANIME IN CAMMINO, lo approfondiamo nel corso FAMIGLIE D’ANIME andando a individuare che tipo di relazione animica intessiamo nella nostra sfera individuale e collettiva, cominciando subito a soffermarci sulla differenza vibrazionale tra Anime compagne e Anime gemelle.

Con un’anima gemella posso quasi sempre avere qualcosa in comune da compiere al livello del nostro progetto animico, mentre con un’anima compagna, anche se la relazione può durare tutta la vita, potrei avere programmi di realizzazione animica diversi, proprio perché provenendo dalla stessa Famiglia d’Anime ambiscono a fare “esperienza” diversa rispetto alla vibrazione da cui provengono.

Due Anime gemelle provengono da due Famiglie d’Anime, ma il percorso di crescita e di risveglio è molto simile.

E secondo quanto la vibrazione di entrambi è disposta a modularsi crescendo insieme, il loro gemellaggio porta all’evoluzione di entrambi, rendendo sempre più compatibile la loro evoluzione.

Se la compatibilità tra due Anime è scarsa non significa che non potranno farcela a crescere insieme. Significa che vanno piuttosto individuati e sanati eventuali patti e voti fatti in altre esistenze parallele o nella vita tra le vite. Ovvero accordi presi anche “violentemente” in casi in cui si sono perse o sono state separate con dolore.

In questi casi se l’attrazione è molto forte si può scegliere di sanare ciò che è rimasto in sospeso oppure di rimandare a qualche anno più avanti il lavoro di risanamento perché spesso accade che incontriamo un’anima gemella poco compatibile al momento non esatto per l’evoluzione di entrambi.

Potremmo così poi “adattarci” ad altre Anime gemelle più compatibili o Anime compagne che incontriamo, anche se non sentiamo quella stessa attrazione di prima. Sono queste le Anime di transizione con cui possiamo comunque portare avanti una interessante evoluzione, senza però sentire quell’Unione sacra a cui aneliamo.

 

Potremmo poi reincontrare quell’Anima gemella da cui ci sentivamo molto attratti che nel frattempo è cresciuta come noi, lontano da noi, e riprendere il lavoro di crescita insieme. Oppure potremmo aver incontrato un’altra Anima gemella a noi più compatibile e iniziare un’altra ri-evoluzione e dimenticarci completamente della precedente Anima gemella con cui aveva avuto diverse difficoltà precedentemente.

 

A tutti noi è capitato almeno una volta nella vita di esserci innamorati di qualcuno con cui abbiamo vissuto non poche difficoltà; un qualcuno per cui avremmo fatto di tutto, e poi dopo qualche anno scoprirci felici con un’altra persona e ricordarci il precedente partner come qualcuno con cui non c’è stato nulla di importante.

 

Tuttavia quando parliamo di Anime gemelle non si intende per forza di anime con cui dobbiamo avere una relazione sentimentale e sessuale. Si può trattare anche di relazioni lavorative e sociali di diversa natura con cui avere una attrazione mentale e anche spirituale.

Quando poi un’Anima gemella compatibile o con cui abbiamo lavorato alla “compatibilità” animica diventa anche un partner di vita e abbiamo gli stessi o simili intenti dell’Anima e progetti animici, allora possiamo definirlo/a un compagno/a divino/a, ovvero un essere spirituale incarnato in un’esistenza comune di Anime.

 

Al di là di qualsiasi accanimento spirituale, può accadere che in una vita abbiamo da fare l’esperienza di incontrare ed evolverci con un partner divino oppure abbiamo da vivere l’esperienza con un partner di vita che non ha in comune lo stesso nostro intento dell’Anima né il nostro progetto animico. Ciò non toglie che se entrambi ci rispettiamo e ci stimoliamo in ciò che le nostre Anime sono venute a svolgere nell’incarnazione, la relazione può essere, se non proprio sacra, come tra due compagni divini, altrettanto sana.

In nessun caso le Anime hanno da completarsi, ma sempre da evolversi insieme, altrimenti la relazione rimane una relazione di “appoggio” in cui nessuno dei due esseri può crescere.

 

Mentre esistono tantissime Anime compagne così come tantissime Anime gemelle, il caso di completamento – seppur sempre evolutivo – esiste solo nelle Anime di Fiamme gemelle.

 

Di questo approfondiremo nel corso del nostro BreathBalance®,: RISOLUZIONI STORICO-GENETICHE I-II.

 

Buon respiro cosciente e coerente!

ANIME IN CAMMINO

Tutti noi nasciamo con un intento dell’Anima e con un progetto, per i quali essere qui in questo momento: a volte ciò non ci è chiaro, talaltra abbiamo come una intuizione, ma spesso ne siamo ignari, avendone solo una sensazione.

Nel corso ANIME IN CAMMINO del nostro BreathBalance®, esploreremo attraverso il Respiro cosciente e coerente, la provenienza della nostra Anima, la vibrazione e la risonanza.

Che cos’è un intento dell’Anima e in cosa differisce da un progetto dell’Anima (altrimenti detto animico)?

L’intento dell’Anima è l’energia verticale (spirituale) che ha portato l’Anima a incarnarsi per adempiere a un progetto animico orizzontale (nella vita di tutti i giorni) attraverso il quale realizzare matericamente la propria evoluzione, qualunque essa sia.

Laddove non siamo a conoscenza di quale intento ci “anima” ad evolverci nel viaggio in corso, è assai complesso che individuiamo il progetto che la nostra Anima intende realizzare.

E non si tratta di realizzazioni altamente filosofiche, né altamente materiali.
Possono esserci persone con progetti animici apparentemente diversi come possedere tante case, o avere tanti figli, o scrivere tanti libri ed essere persone animate dallo stesso intento, per es. l’accoglienza.
In questi progetti ognuna delle tre persone può onorare lo stesso intento in modi concretamente differenti.

Per tale motivo il brancolare nell’incertezza, nell’ombra, riguardo l’enigma interiore: “Che ci sto a fare qui?” riverbera e si amplifica proprio nella relazione con gli altri, in cui quello che vediamo di chi ci sta di fronte non è altro che uno specchio di noi stessi. E spesso quello che vediamo negli altri è esattamente il loro intento dell’Anima che desideriamo contattare laddove abbiamo smarrito il nostro o non ne siamo per niente consapevoli.

Il modo in cui ci relazioniamo con gli altri e come creiamo relazioni di coppia: coniugali, amicali, lavorative ci mostra se stiamo onorando il nostro progetto animico allineato all’intento della nostra Anima, riconoscendo la risonanza con altre anime.

Eppure al di là di ciò che portiamo in gioco nel gioco di Specchi, ognuno di noi cerca sempre di assolvere alla propria evoluzione dell’anima.
In che modo le anime si differenziano al livello di vibrazione? Come si riconoscono? Quando si incontrano?

Iniziamo dalle Anime “familiari” ovvero quelle che provengono dalla stessa Famiglie d’Anime con cui ci re-incontriamo quando ci incarniamo.

Nelle relazioni genitori-figli-parenti-colleghi è facile ritrovare membri della stessa Famiglia d’anime con cui ci siamo già conosciuti e con cui ci rivediamo per continuare ad apprendere certe esperienze lasciate in sospeso ma anche altre. Con alcune di esse potremmo anche intessere una relazione sentimentale di coppia, anche se la vibrazione da cui proveniamo, essendo simile, potrebbe orientarci di più su una relazione sociale-collettiva che su una relazione amorosa di attrazione.

E quando si tratta di attrazione – come fra Anime gemelle – non significa che non possa esserci cooperazione, anzi. Significa piuttosto che possono unirsi Anime gemelle provenienti da due diverse Famiglie d’Anime con vibrazioni diverse e quindi con maggior attrazione proprio perché diverse.
Nel caso di Anime Compagne – benché esistano più teorie – sono tali due Anime che appartengono alla stessa Famiglia d’Anime o da due Famiglie d’Anime diverse ma con vibrazione molto simile.

Tra Anime Compagne può quindi intessersi una relazione interessante e, laddove provengano da Famiglie d’Anime diverse, può iniziare il loro “gemellaggio” a partire dalla vita in corso.

DEI DETTAGLI ENERGETICI negli incontri animici approfondiremo nel corso SUCCESSIVO a questo FAMIGLIE D’ANIME.

Per adesso soffermiamoci su un altro aspetto assai frainteso, ovvero la nostra funzione Sacra, di cui parliamo in un altro articolo di questo blog e che tratteremo in modo esperienziale nei corsi del nostro BreathBalance®: ASTROLOGIA EsSoterica (I-II).

Buon respiro cosciente e coerente!

RESPIRO E CORAZZE MUSCOLARI

Nel  nostro corpo fisico abbiamo cristallizzato le esperienze che ci hanno segnato emotivamente; abbiamo spesso reagito cercando di non sentire il dolore, la delusione, la paura che hanno accompagnato queste esperienze e che pertanto si sono incise nel nostro mondo emotivo e nel nostro corpo: abilmente abbiamo costruito corazze muscolari per proteggerci e a cui siamo talmente abituati da sempre da sembrarci naturali espressioni di noi stessi. In quei punti specifici del corpo il nostro respiro passa (poco) senza ammorbidire la tensione insita nel muscolo.

Nessuno insegna a respirare a meno che non ci si rivolga a un esperto del settore.

In questo corso condotto e ideato da Alfonso Guizzardi e Nicoletta Ferroni, intitolato RESPIRO E CORAZZE MUSCOLARI,  Ogni partecipante che vorrà mettersi in gioco potrà riconoscere la propria corazza, accettarla e ammorbidirla, senza necessariamente abbandonarla per sempre.

Giocheremo con le nostre resistenze, individuando la funzione che hanno assolto nella nostra vita le corazze e potremo scegliere se tras-formare le tensioni o tenercele care per sempre.

A ogni tensione muscolare seguirà l’incontro con l’organo e l’apparato con cui la corazza è diventata complice e da là scopriremo verità molto curiose sul nostro sistema nervoso e non solo. Le ossa ci mostreranno quanto ci sentiamo strutturati; i muscoli quanta forza vitale scorre o non-scorre in noi. Ed il respiro ci mostrerà, sempre più, quanto la vita fluisce nel modo in cui respiriamo o non respiriamo!

Lavoreremo partendo dal nostro concepimento, da come abbiamo vissuto la nostra vita intrauterina, la nostra nascita e il modo in cui siamo stati allattati per arrivare ad essere consapevoli di come ci siamo organizzati e di come possiamo liberarci per vivere pienamente.

LA FUNZIONE SACRA anche NELL’INCARNAZIONE

Ti sei mai chiesto a cosa o a chi servi?

Conosci la differenza tra la tua FUNZIONE nel piano ORIZZONTALE e la tua FUNZIONE SACRA nel piano VERTICALE

 Nell’incarnazione siamo venuti ad assolvere a una funzione. SERVIAMO a qualcosa più che a qualcuno, ma attiriamo qualcuno per servire a qualcosa e quel qualcosa non è mai inutile.

Tuttavia spesso ci possiamo sentire inutili perché stiamo assolvendo a una funzione che non è allineata con il nostro intento dell’anima, per cui facciamo, diciamo, abbiamo senza avere chiarezza su quello che ci sta accadendo.

Può accadere nelle relazioni a 2 ma anche nel collettivo per questo entriamo facilmente in crisi su quello che viviamo.

Prima di incarnarci la nostra anima ha un intento che “anima” il progetto animico nell’incarnazione. Il progetto animico si articola poi in intenti orizzontali a partire dalla nostra nascita. Gli intenti possono essere: l’intento di nascita, l’intento dell’infanzia, dell’adolescenza, dell’anno, del mese, della settimana, del giorno. Possono essere intenti anche collettivi, non solo personali. L’importante è che tutti gli intenti del progetto animico, sulla scia dell’intento dell’anima, siamo il “carburante” che dona gioia di vivere. Possiamo cambiare i nostri intenti del progetto animico, man mano che ci accorgiamo che ci donano sempre più gioia di vivere. Difficilmente sentiamo gioia se scegliamo intenti altrui solo per accontentare qualcuno. La nostra anima per prima ci dirà che non funziona. E come lo fa? Sintonizzandoci sulla scontentezza.

Tuttavia non possiamo cambiare la nostra funzione. Abbiamo una unica funzione che va riscoperta per assolverla e per riconnetterla con gli svariati intenti che possiamo scegliere continuamente in allineamento con l’intento dell’anima.

 

Il gioco sta nel rendere più sacra, ovvero più divina possibile, la nostra funzione attraverso l’onesta intercettazione del nostro intento dell’anima. E una funzione diventa sacra quando è totalmente allineata all’intento dell’anima. Solo allora diventa sacra e solo quando diventa sacra può chiamarsi funzione dell’anima nell’incarnazione e quando è tale il progetto animico è completato in totale allineamento con tutti gli intenti a partire dall’intento dell’anima. Questa è la felicità pura in cui tutto avviene al momento giusto, al posto giusto, con le persone giuste.

Se siamo sintonizzati con questo gioco di intenti, cogliamo l’attimo con più semplicità.

Se siamo sconnessi, è più facile che non cogliamo l’attimo e continuiamo a vivere rincorrendo sogni che non sono nostri.

Lo snodo sta nel sentire quanta gioia sentiamo nel fare ciò che facciamo ogni istante della nostra vita.

E su queste tematiche lavoreremo con gioia, “respirandole” nei moduli ANIME IN CAMMINO e a seguire FAMIGLIE D’ANIME.

Nicoletta Ferroni

www.nicolettaferroni.it

 

Formatrice della scuola R.A.BB.I.T.S.® (Rebirthing and BreathBalance International Training School)

www.breathbalance.it

Eventi

Nessun risultato

Spiacente, nessun articolo corrisponde ai tuoi criteri