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La posizione masochista (parte 1)

Laddove nella scuola freudiana classica il masochismo  assume numerosi significati, non sempre lineari e spesso embricati:

  1. un masochismo primario in cui pulsione di morte e libido formano ancora un insieme fuso;
  2. un masochismo femminile che si organizza intorno alle componenti passive presenti in ciascuno;
  3. ed infine un masochismo morale, in cui il ruolo principale viene giocato dal senso di colpa, in assenza di piacere sessuale.

In buona sostanza nella formulazione freudiana viene enfatizzato il momento istintuale, che così poco convince Reich e che a tal proposito sostiene in Analisi del carattere:

La modificazione del concetto di masochismo implica automaticamente anche un cambiamento nella formula etiologica della nevrosi. L’idea originaria di Freud era che lo sviluppo psichico fosse il risultato dello scontro continuo fra istinti e mondo esterno. In seguito invece che il conflitto psichico fosse il risultato di un conflitto fra Eros (libido sessuale) e istinto di morte (istinto di autodistruzione, masochismo primario). Il punto di partenza per questa dubbia ipotesi era il fatto caratteristico che certi pazienti sembrano non voler smettere di soffrire e continuano a cercare situazioni dolorose. Questo era in contraddizione con il principio del piacere. Sembrava che ci fosse un’intenzione profonda che spingeva alla sofferenza e a sperimentarla di nuovo. Bisognava chiedersi se questa “volontà di soffrire” fosse una tendenza biologica o una formazione psichica secondaria.

Reich si domanda se si tratta di un masochismo insorto nel momento in cui si è entrati in fase muscolare e quindi la dimensione muscolare è evidente tanto da poterne accostare la dimensione sadica, nel senso che la dimensione muscolare permette di bloccare (castrare) il naturale flusso energetico verso l’esterno. Questa è una riflessione importante perché, sul piano storico a parere di Reich, viene confutata la teoria dell’ istinto di morte e la teoria della coazione a ripetere ad essa associata nel senso che nella concezione reichiana c’è in primo piano l’ipotesi che il masochismo sia una struttura essenzialmente difensiva, e quindi reattiva, (mentre non c’è istinto di morte) implicante il principio del danno minore.

Reich riteneva infatti che il masochista avesse un bisogno eccessivo di amore basato sulla paura di essere lasciato solo, una paura intensamente vissuta nella prima infanzia.

La dimensione essenziale presente nel masochismo è la compressione incistata, ossia un’assenza di pulsazione fluida e vitale del Sé, ottenuta attraverso frustrazioni, castrazioni, separazioni disfunzionanti, ecc.: questo movimento-fenomeno:

  1. viene abbozzato già nelle prime fasi della vita e ripercorre l’evoluzione ontogenetica in senso verticale;
  2. inoltre può attraversare tutte le fasi, ossia tutti i piani di quest’evoluzione in quanto si costituisce, non come un tratto caratteriologico bensì come una “posizione” che esprime sempre una specifica funzione adattiva del Sé, informata costantemente al principio economico, in altre parole una sintomatologia possibile di fasi, di tratti, di fissazioni prevalenti e non.

Nel BreathBalance, il masochismo non lo indichiamo come un un carattere ma una posizione, cioè qualcosa che può attraversare, lungo la freccia del tempo, tutte le fasi evolutive ma addirittura Ferri la colloca nella dimensione intrauterina parlando di masochismo primario di primo e secondo tipo e di masochismo secondario.

Il masochismo che ci viene descritto da Reich, nel caso che presenta e discute ne “L’analisi del carattere”, può essere accostato al masochismo secondario di cui sopra.

Sappiamo che nel 1921 in “Al di là del principio del piacere” Freud aveva formulato l’esistenza di un principio di morte che stravolge, a parere di Reich, anche la teoria delle nevrosi, appunto perché in un primo tempo, per Freud stesso, le nevrosi erano il precipitato del contrasto tra le pulsioni sessuali libidiche e il mondo esterno mentre con questa svolta conservatrice la nevrosi diventa qualcosa di endogeno, cioè una spinta al dolore originario[1].

L’importanza de “L’analisi del carattere” sta nel fatto che Reich coglie definitivamente l’ancoraggio della psiche al soma, la dimensione somatica delle problematiche emozionali, come passaggio dall’analisi del carattere alla vegeto terapia carattero-analitica.

Questo è uno studio che suscita nella società psicoanalitica la premessa della sua espulsione: mentre la teoria dell’orgasmo era in qualche modo conciliabile all’interno del modello psicoanalitico, il rifiuto della pulsione di morte porta la rottura definitiva con la società psicoanalitica, facendolo definire eretico e progressivamente emarginandolo.

Ma l’ impatto che ebbe questa riflessione è significativo, esso prima di essere un capitolo dell’ “analisi del carattere” fu un articolo pubblicato nel 1932 sulla rivista internazionale di psicoanalisi e già questa pubblicazione suscitò rifiuto e insofferenza da parte degli ambienti psicoanalitici e da parte dello stesso Freud, che seppure in occasioni passate aveva dimostrato uno spirito più liberale, in questo caso invece va su tutte le furie, non vorrebbe far parlare Reich e, addirittura, pretende di far precedere all’articolo di Reich un suo articolo dove egli perora ancora una volta l’istinto di morte e dove diceva esplicitamente che il Dott. Reich giunge a questa riflessione in quanto comunista. In qualche modo c’è qualcosa di vero perché per Reich era importante la dimensione sociale, di quello che noi definiamo altro da sé, e sicuramente una teoria che definisce la nevrosi come qualcosa di endogeno porterebbe in secondo piano proprio il ruolo che l’ altro da sé, il sociale, svolge nell’insorgenza delle nevrosi.

Prima di tutto Reich presenta quelle che erano le interpretazioni cliniche e psicologiche della sessuologia sul masochismo, definito come “la tendenza pulsionale a trovare soddisfacimento nel dolore,  nella sopportazione di esso e nelle umiliazioni morali”. La difficoltà che subito si presentava era quella di riuscire a capire come fosse possibile che qualcuno potesse trovare piacere nel provare dolore. Lo steso principio di piacere di Freud, che fondava la psicoanalisi, era profondamente sollecitato: Freud in primo tempo aveva affermato che sadismo e masochismo non erano opposti , procedevano sempre insieme, erano considerati come una coppia antitetica in cui l’uno poteva trasformarsi nell’altro e gli aveva interpretati come reazioni ad una frustrazione di una pulsione sessuale, libidica. Un bambino, per esempio, subisce una frustrazione, si arrabbia e può veicolare in maniera violenta la sua aggressività verso l’esterno dando vita al sadismo, oppure se non riesce a veicolare l’aggressività, per sua storia, per sua struttura caratteriale, introietta la sua stessa rabbia che quindi viene veicolata verso l’interno e che può diventare così masochismo. Quindi per il primo Freud il masochismo è una pulsione derivata mentre in un secondo momento diventa qualcosa di originario. Reich invece sosteneva che con la seconda interpretazione del masochismo, abbracciata senza critiche dai componenti della società psicoanalitica, si metteva sempre più in ombra il ruolo predominante del mondo esterno (altro da sé), frustrante e punitivo. Inoltre appare evidente che una tale situazione bloccava ogni critica alla società, quindi non c’era nulla da cambiare nel sistema educativo. Alla domanda da dove provenisse la sofferenza non si poteva rispondere facendo riferimento anche alle contraddizioni della società ma si affermava che essa è il frutto della spinta biologica all’autodistruzione e alla sofferenza. Le riflessioni di Reich invece mettevano in discussione, come detto prima, il principio cardine della psicoanalisi e cioè il principio di piacere-dispiacere secondo il quale gli individui tendono al piacere ed evitano il dispiacere.

Articolo tratto dall’intervento di Alfonso Guizzardi al: